La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 12193 del 8 maggio 2019 ha ritenuto contraria all’ordine pubblico la trascrizione dell’atto di nascita formatosi all’estero a seguito di una maternità surrogata che riconosce quale genitore il “genitore d’intenzione”.
La maternità surrogata è una pratica che si concretizza quando una donna partorisce il frutto del concepimento altrui (cd. “utero in affitto”) ed è espressamente vietata dall’ordinamento italiano (ex art. 4 co. 3 L. 40/2004), tanto da costituire un reato punibile, ai sensi dell’art. 12 della L. 40/2004, con la reclusione.
La maternità surrogata è tuttavia legale in molti Stati esteri ed è sempre più frequente che le coppie italiane vi si rechino per ricorrere a tale pratica.
Nella maggior parte dei Paesi stranieri che ammettono tale pratica, la c.d. “madre surrogata”, ossia colei che ha portato avanti la gestazione e partorito il bambino, non ha alcun legame giuridico con il neonato.
Il bambino viene infatti registrato come figlio dei committenti e dunque sia del genitore naturale che del coniuge di quest’ultimo, il genitore c.d. sociale (colui che non ha un legame genetico con il figlio).
Ma, una volta rientrati in Italia, i committenti, riconosciuti come genitori da un atto ufficiale dello Stato estero, possono ottenere la trascrizione di tale atto di nascita?
In risposta a tale quesito, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 12193 resa in data 8 maggio 2019, ha ritenuto che la maternità surrogata sia contraria all’ordine pubblico violando alcuni principi fondamentali del nostro ordinamento nonché dei diritti costituzionalmente tutelati quali “la dignità umana della gestante e l'istituto della adozione”, ritenuti dal Legislatore prevalenti rispetto all’interesse del minore ad avere dei genitori.
La Corte di Cassazione ha dunque ritenuto che trascrivendo l’atto di nascita straniero si violerebbe l’Ordine Pubblico, pertanto l’atto di nascita così formatosi non può essere trascritto in Italia.
Il genitore sociale, tuttavia, potrà vedere garantito il proprio diritto alla genitorialità e all’autodeterminazione familiare (come previsto dall’art. 8 della C.E.D.U.) facendo ricorso alla c.d. adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, co. 4, lett. D della Legge sulle adozioni (L. 184/1983).
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Pubblicato venerdì 28 giugno 2019
da Studio Piantanida